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L'archeologia ai tempi della pandemia

Quanti di noi, nel corso di una passeggiata in natura, al mare o in montagna, hanno provato il desiderio di rinvenire o scovare un oggetto, un #reperto, un tesoro legato all’antichità e di poterne vantare la scoperta?


Certi poi, del fatto che, attraverso quell’oggetto, gruppi di intraprendenti archeologi avrebbero fornito dati, storie, aneddoti e altre preziose rivelazioni dopo attente e approfonditi analisi?


Succede a molti ed è quel sottile quanto intrigante attimo in cui la scienza dell’archeologia lascia spazio al mito e al romanticismo.


Tra le principali attività svolte dell’archeologo possiamo riconoscere, nella maggior parte dei casi, la centralità dell’operazione di scavo.

Una fase, questa, preceduta da altre fasi di fondamentale preparazione, ma senz’altro la fase più sensoriale.

Durante lo scavo l’#archeologo affonda le sue mani nella terra, “livida e ansante”(permettetemi l’utilizzo degli aggettivi della lirica di Pascoli), e con l’ausilio di alcuni imprescindibili strumenti, si mette alla ricerca, avida e scrupolosa, della storia.


Sposta strati di terra per gradi e, con sistematica metodologia, sviscera il suolo dove l’uomo ha messo radici per studiarne il comportamento, il modo di fare società, il suo modo di abitare su questo pianeta e garantirsi un’esistenza serena, agiata, felice.

In sostanza l’archeologo ricerca se stesso.


In un periodo di disorientamento generale, fatto di vacillanti sicurezze e situazioni precarie, alla quale la pandemia ci ha, tutti indistintamente, sottoposti, il bisogno di ritrovare se stessi e la propria naturale dimensione è notevolmente aumentato in noi tutti. L’attività dell’archeologo sembra rappresentare esattamente quel tipo di attività interiore che tutti vorremmo o dovremmo compiere, sprofondando negli strati più reconditi della nostra anima e ridonandogli quella luce che purtroppo sembra essersi affievolita, rendendo tutto più occulto.


E qui il pensiero si sposta immediatamente su #Freud.


Freud inventò la metafora secondo cui “l’analista deve scoprire o per meglio dire costruire il materiale dimenticato a partire dalle tracce che sono rimaste”. Esattamente come opera l’archeologo.


Il suddetto concetto naturalmente è valido anche all’inverso: "L'archeologo è come Freud, sono trent'anni che scavo dentro. Anche lì si porta alla luce, si cercano radici, fondamenta".

Parola di Andrea Carandini, uno dei massimi archeologi contemporanei, presidente del FAI Fondo per l’Ambiente Italiano fino al 2021.


Freud mise in atto la sua metafora per tutto il corso della sua vita, tant’è vero che si dedicò intensamente all’attività archeologica collezionando, tra l’altro, oltre duemila reperti provenienti da diversi scavi nel mondo. Reperti oggi conservati nel Freud Museum di Londra.


Che ne dite di seguire l’esempio di Freud… iniziando un’operazione di scavo interiore per favorire l’ingresso alla luce?

E che ne dite di una visita nei parchi archeologici e nei loro musei? Andremmo ad ammirare la bellezza e ad apprendere il profondo significato di tutti quei resti e reperti che gli archeologi, con grande professionalità e animati dal grande spirito della scoperta, hanno ridato alla luce implementando costantemente il nostro Patrimonio Culturale con l’Archeologia di terra e di mare.


Potrebbe essere un valido deterrente ai mali che questa infinita pandemia ci sta causando, offrendoci una nuova prospettiva e un nuovo modo di vedere-rivedere le cose.

Un’opportunità che meritiamo, che dobbiamo donarci e mai negarci, in virtù di una ripresa che arriverà.

Perché prima o poi questa pandemia deve finire. E finirà!

𝙎𝙖𝙡𝙫𝙞𝙣𝙖 𝘾𝙞𝙢𝙞𝙣𝙤





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