Alberto Samonà
giornalista e scrittore italiano, membro del consiglio di amministrazione del Parco archeologico del Colosseo.
Da maggio 2020 a ottobre 2022 è stato assessore dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana della Regione Siciliana
Il labirinto per perdersi e ritrovarsi
Entrando in un labirinto, il più delle volte, si è attraversati da una serie di sentimenti contrastanti che vanno dalla paura allo smarrimento.
Calvino ha parlato del labirinto associandolo alla scrittura e alle regole della letteratura. In realtà, al di là delle formule contemporanee, il labirinto è da sempre per l'uomo la possibilità di mettersi alla prova, di riorganizzare le proprie idee per dare una direzione al proprio percorso.
Non è un caso che di labirinto si parli approcciandolo secondo molteplici angoli visuali: la storia ne è piena, dai labirinti verdi presenti in alcune grandi ville italiane ed europee, alle sculture labirintiche, al labirinto nel mito e nella storia
antica.
La testimonianza più immediata è, a tal proposito, il leggendario labirinto di Cnosso, che venne fatto costruire dal Re Minosse a Creta per imprigionarvi il Minotauro, nato dall’amplesso mitico fra un toro e la sposa del sovrano. Il racconto ci tramanda che addirittura Dedalo e Icaro, ovvero gli stessi costruttori della labirinto, ne rimasero imprigionati e dovettero utilizzare delle ali artificiali per volare al di sopra della costruzione e riuscire a liberarsi. Questo labirinto cretese è, inoltre, correlato al cosiddetto filo di Arianna, grazie al quale Teseo riuscì infine a sconfiggere il Minotauro e tornare indietro.
A ben guardare, il mito è associato simbolicamente al cammino interiore e iniziatico di coloro che vogliono andare oltre al conosciuto e immergersi nell'universo e nello sconosciuto: un viaggio negli abissi di se stesso, che ricorda non poco l'opera al nero degli alchimisti e che non è disgiunta da collegamenti con il Cosmo e i suoi astri.
Eppure, gli stessi sentimenti che pervadono il cuore e la mente di chi entra in un labirinto altro non sono che testimonianza delle certezze che vacillano allorquando ci si avventura in un viaggio alla scoperta di se stessi, in un cammino iniziatico nel quale la vecchia vita lascia il posto alla nuova. Andando oltre, chi dice che l'ingresso nel labirinto debba per forza terminare con l'uscita dal labirinto stesso? Perché, non potrebbe forse bastare lo stesso cammino, proiezione dinamica di chi cerca? E andando ancora in là, lo scopo potrebbe essere quello di conquistare il centro del labirinto stesso e non anche l'uscita. Insomma, sono molteplici le possibilità che si aprono.
Sono sempre più convinto che il simbolo del labirinto ci indichi una possibilità: quella di perdersi al suo interno, per ritrovarsi. Per ritrovare una strada smarrita a causa della frenesia quotidiana. Forse questa sì caotica, labirintica, che non ha apparentemente un ingresso e non ha neppure una via d'uscita. E invece, oltrepassando la porta ci si dà una nuova possibilità: consentire a noi stessi di andare oltre la soglia delle nostre convinzioni, oltrepassare quella che oggi viene definita zona di comfort che è il nostro ruolo sociale, la famiglia, la posizione, le ricchezze più o meno piccole e accumulate qua e là nel corso della nostra esistenza. E allora si può entrare nel labirinto facendosi guidare da una luce interna, da una energia che permea ogni spazio. E ridefinisce l'essere umano secondo una prospettiva nuova e diversa, nella quale i rapporti di forza sono trasformati e il crogiuolo nel quale la materia viene plasmata è il labirinto stesso.
L'uomo poi ha spesso associato il labirinto alla possibilità di ridefinire gli spazi nella natura. Basti pensare ai giardini che costellano l'Italia soprattutto settentrionale: il labirinto della Masone in provincia di Parma ad esempio o il cosiddetto "Scarabocchio di Dio" a Padova e ancora quello nell'isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, o il labirinto dei giardini della Petraia di Firenze, solo per citarne alcuni. E non possiamo tacere i labirinti siciliani, alcuni bellissimi, vere e proprie creazioni artistiche: il labirinto di Arianna, tra tutti, impreziosisce ulteriormente la Fiumara d'arte a Castel di Lucio, nel messinese. O il labirinto di Donnafugata, con la particolare forma trapezoidale che ricorda quella di Hampton Court in Inghilterra. E ancora Erice, con il suo labirinto arcaico risalente al 3000 a.C. rappresentato sul soffitto della grotta di Polifemo. E anche il Cretto di Burri, edificato sulle rovine della Gibellina distrutta dal terremoto del 1968 che devastò il Belice. È un luogo nel quale perdersi, entrando in una dimensione altra, non spettrale ma apparentemente irreale, al fine però di ritrovare una realtà perduta, non nel riattualizzare ciò che non è più ma nel dare nuova forma a ciò che è: al di là del tempo, all'energia, allo spazio. A Monte Pellegrino il labirinto de La Piana di Mezzo immerge il ricercatore nella natura, con le sue undici spire che richiamano ancora una volta al mito e all'antichità.
Il labirinto è, dunque, un luogo di infinite possibilità, uno spazio concluso, sacro, nel quale ciò che nel cosiddetto ordinario è impossibile, diviene possibile, reale, assolutamente vero. È la manifestazione di una energia, o se si preferisce una manifestazione del Sacro, quella ierofania di cui parlava Mircea Eliade e grazie alla quale il labirinto stesso può anche essere associato al bosco, con le sue misteriose leggi, con le apparizioni di esseri sovrannaturali e con una realtà nella realtà che non rimanda alle regole comuni, ma a leggi universali, alle quali solo chi cerca con il cuore aperto è in grado di accostarsi.