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Clorinda Arezzo

Consulente del sindaco di Ragusa per le attività culturali

Il labirinto del Castello di Donnafugata a Ragusa

Il labirinto di Donnafugata. L’arte di perdersi… e ritrovarsi

 

Il toponimo Donnafugata riporta di solito alla memoria celebri luoghi letterari. Eppure una Donnafugata storica esiste e affascina oggi migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo.

Il Castello di Donnafugata, situato sulle ultime propaggini dell’altopiano ibleo che si protendono verso la costa, non nasce castello, lo diventa.

Quando la famiglia Arezzo nel 1648 lo acquista lo stabile è poco più che una torre con recinto a protezione di un vasto feudo, la cosiddetta Torrevecchia o Torre di Bianca[1]. Solo con Francesco Arezzo (1800-1874), VIII Barone di Donnafugata, il complesso assume una dimensione abitativa affiancata ad un'importante funzione produttiva. Il piano nobile, a cui si accedeva dal grande scalone di ingresso in pietra pece, si componeva di tre ambienti che, addossandosi alla preesistente Torrevecchia, costituivano le sale di rappresentanza di questa «Casina di Villeggiatura».

La casa era affiancata inizialmente da un frutteto che nel tempo giunge ad occupare una superficie di circa 8 ettari (Foto 1). Principale artefice di questa trasformazione fu il colto barone Corrado Arezzo che influenzato dalla ricca trattatistica del tempo plasmò il parco secondo un gusto eclettico. Fra gli autori certamente più in voga il Marulli[2], che nel 1804 progettò giardini che, farciti di fabriques, tendevano a stupire, assumendo una strutturazione che Ercole Silva[3] definì "per paesetti".

Lo studio dei trattati fu affiancato da frequenti viaggi nelle vicine ville siciliane che offrirono al nostro altri interessanti spunti. Era il 1870 quando i Whitaker commissionarono all'architetto H. Christian a Palermo una villa in stile neogotico veneziano, con giardino di piante esotiche. Negli stessi anni i Lanza di Trabia trasformarono il giardino della villa alle Terre Rosse a Palermo in un giardino tropicale. Negli stessi anni nel ragusano anche la villa di San Filippo prese le sembianze di un castello neogotico con parco di piante esotiche.

 

Il visitatore che si trovi a trascorrere una giornata al parco di Donnafugata può esplorare tre diverse tipologie di giardino: il giardino all’inglese (o giardino informale), il giardino alla francese (giardino formale) e un’area “rustica”, ovvero un ampio orto-frutteto destinato un tempo alla coltivazione di piante aromatiche e all’apicoltura. Nel Parco sono presenti circa 1500 specie vegetali e alcuni alberi monumentali. L’impianto, come lo vediamo oggi, è dunque un articolato palinsesto formatosi dalla metà dell’ottocento ai primi anni del Novecento, segnati in quest’ultima fase da un nuovo gusto di impronta francese[4] (Foto 2).

L’aspetto romantico del giardino inglese tradisce notevoli riferimenti siciliani, nazionali e internazionali a cui molte fabriques sono ispirate. Potremmo quasi dire che il barone Corrado, andando oltre il viaggiatore di calviniana memoria[5], non solo nell’altrove “riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto”, ma lo ottiene emulandolo e riproducendolo. È proprio quello che accade per molte aree del parco di Donnafugata.

Fra tutti il tempietto circolare su collina artificiale (Foto 3), descritto al padre Corrado dalla figlia Vincenzina in visita a Villa Pegli a Genova che suggerisce soluzioni in merito a isolotti e laghetti[6]. Questa tholos è molto simile a quella della Villa comunale di Santa Margherita del Belice e al Parco dell’Olivuzza dei Florio a Palermo (Foto 4). Altre zone, come quella malinconica dei cenotafi e dei cipressi[7] (Foto 5) o le finte grotte[8] (Foto 6), trovano diretti riscontri a Ermenonville, in Francia.

 

Neanche il labirinto di Donnafugata (Foto 7) sfugge a questo gioco di emulazione e importazione di modelli. Nello specifico, fu probabilmente la visita all’Esposizione Internazionale di Dublino del 1865 l’occasione in cui il barone Corrado Arezzo concepì l’idea del labirinto, come si evince dalla sua “Relazione”[9] dove si legge del “laberinto foggiato su Hamton Court (sic)” (Foto 8).

 

Era il lontano 1690 quando George London e Henry Wise costruirono per l’allora re d’Inghilterra  Guglielmo III d’Orange il labirinto di Hampton Court. I giardini dell'Hampton Court Palace furono aperti al pubblico nel 1838, insieme al labirinto di siepi. (Foto 9)

Il protagonista di “Tre uomini in barca” di Jerome, in visita al labirinto di Hampton Court, incarna la tipologia più diffusa di chi, sicuro di sé, sfida il labirinto: “lui se l'era studiato su di una pianta, il labirinto, che era una cosa tanto semplice che sembrava perfino stupida, insomma non valeva neanche il modicissimo prezzo del biglietto d'entrata. […] Lo chiamano labirinto ma è un'esagerazione”. “Basta prendere sempre la prima svolta a destra; facciamo un giretto di una decina di minuti e poi usciamo ed andiamo a mangiare” - diceva. Dopo aver tentato invano di trovare la via di uscita per ore e avendo trascinato molta gente in questo smarrimento collettivo, “dovettero attendere che uno dei vecchi custodi tornasse dal pranzo. Così uscirono.”

 

A questo labirinto e a questo genere di esperienze dovette pensare il Barone Corrado Arezzo quando ne fece duplicare un fedele modello a Donnafugata, dopo il 1865. Con i suoi muri in pietra, anziché di siepi verdi, il labirinto ne riproduce la forma trapezoidale, gli incroci, i trabocchetti e la coincidenza fra entrata e uscita.

 

L’idea di perdersi, mettersi alla prova, misurarsi con la propria capacità di orientamento non ha mai perso il suo fascino e attrae ancora oggi coraggiosi visitatori di ogni età e provenienza.

 

Nell’ottobre 2022 questa dimensione ludica ha trovato un’innovativa applicazione grazie un’attività di coding promossa dall’Università di Urbino[10]  (CodeMOOC) che ha raccontato in maniera semplice e divertente il pensiero computazionale. La sfida proposta era quella di riuscire a raggiungere il centro del labirinto per liberare una fanciulla in difficoltà. Con l’ausilio di una mappa gli alunni on line suggerivano al protagonista la direzione da prendere ad ogni bivio, ottenendo al termine dell’impresa un codice binario che costituiva la chiave per portare a termine l’avventura. (Foto 10)

 

Chi vuol vedere nel labirinto di Donnafugata un’occasione di intrattenimento e divertente svago, non farà fatica a notare che il barone Corrado Arezzo di Donnafugata amava proporre altri scherzi ai propri ospiti. Passeggiando per il parco poteva infatti accadere di imbattersi in una piccola cappelletta che nascondeva un meccanismo per l’improvvisa apparizione di un monaco, dietro le porte chiuse; si poteva rischiare di venire bagnati dagli schizzi d’acqua, attivati a distanza da un sistema manuale, non appena ci si riposava, ignari del pericolo, sul berceau; ci si poteva infine intrattenere con un vero e proprio automa detto “mangia-palle” che, ingurgitando palline le restituiva generosamente – e rumorosamente – dal retro. (Foto 11)

 

Ma è possibile che un labirinto custodisca, al di là dell’aspetto meramente ludico, anche qualcos’altro? Il labirinto è sin dai tempi più antichi considerato un simbolo esoterico. Percorrere un labirinto equivale a procedere in uno sviluppo graduale della conoscenza: ciascuno tenta di trovare il centro - o l’uscita – e, successivamente, ricorderà la percezione di quel luogo come un posto in cui il tempo è stato idilliaco e infernale allo stesso tempo.

Le biforcazioni producono un senso di smarrimento che accompagna il visitatore, attraverso il percorso corretto, fino al raggiungimento del centro. Al di fuori dell’allegoria del labirinto ciò significa che da uno stato di perdizione, attraverso un percorso di purificazione si può giungere ad uno stato superiore di consapevolezza ed elevazione spirituale. Perdersi per ritrovarsi e rinascere a nuova vita, come se il labirinto garantisse, attraverso la ricerca di sé, di trovare l’ordine nel caos dell’esistenza.

 

Questa eterna ricerca di sé troverà una nuova formula nella prossima primavera quando a cinque scultori italiani sarà affidato il compito di indicarci la strada. Cinque miti antichi saranno reinterpretati in chiave moderna e contemporanea.

Le nozze bestiali di Pasifae, la prigionia del Minotauro, il filo di Arianna all’“eroismo” di Teseo, il viaggio impossibile di Dedalo e di Icaro[11] assumono in questo progetto espositivo connotati estremamente attuali, portando il fruitore a riflettere dai pericoli della scienza, sulla fallibilità della tecnologia, sull’importanza della donna,  sul valore del lavoro manuale, sull’intolleranza verso l’altro, il diverso, lo straniero.

Le sculture verranno in un primo tempo collocate nel grande spazio al centro del labirinto, per la durata di un mese ciascuna. Successivamente verranno spostate in cinque diversi spazi scelti nei giardini del castello. Nel mese di agosto, al posto della scultura, al centro del labirinto verrà collocato uno specchio adagiato al suolo, di modo che l’osservatore possa scorgervi il proprio stesso volto.

L’idea è quella di costruire un percorso ideale trasformando l’intero parco in un cammino di consapevolezza interiore.

 

[1] La figura di Bianca di Navarra si inserisce nella tradizione orale mescolando al toponimo «Donnafugata» la leggenda sorta intorno alle vicende dinastiche dell’isola nel XV sec. Si racconta infatti che, morto il re Martino nel 1409, il Regno di Sicilia venne affidato alla vicaria, sua moglie, la regina Bianca di Navarra. Fra le molte attenzioni, la regina Bianca attirò anche quelle del Conte di Modica, Bernardo Cabrera, che - narra la leggenda - rinchiuse la Regina Bianca nella torre sperando di convincerla a sposarlo e diventare così re di Sicilia. Bianca riuscì a fuggire, proseguendo la sua fuga in Sicilia di castello in castello.

[2] Vincenzo Marulli, L'arte di ordinare i giardini, 1804

[3] Ercole Silva, L'arte dei giardini inglesi, 1813

[4] Il Visconte Gaetano Combes de Lestrade (29 anni) e Clementina Arezzo (20 anni), nipote del barone Corrado, si sposarono a Malta, come si legge nell’atto di matrimonio, l’11 giugno 1888 all’oratorio del SS. Sacramento annesso alla chiesa di Porto Salvo de La Valletta. I due adattarono un’ala del Castello arredata ancora oggi in stile liberty e Gaetano divenne il XII barone di Donnafugata.

[5] Italo, Calvino, Le città invisibili, intro II capitolo, 1972

[6] "Ti rimetto una grotta, che deve venire sotto il Mulino a Vento, ma non più a mettà della Montagnola, ma bensì alle falde per formare il ruscello ed anche, se vuole Dio, un laghetto, dove poi potrà venirvi un'isoletta dove, secondo la grandezza, vi si potrà piantare un albero, come le isolette del Tamigi, oppure un getto d'acqua"

[7] Un'area meditativa occupata da due mausolei, circondati da cipressi. Inevitabile il collegamento con la celebre isola dei pioppi di Rousseau. Il Marquese di Girardin, grande proprietario terriero con idee liberali, costruì a Ermenonville, a nord di Parigi, tra il 1766 e il 1776 il primo e più celebre giardino all'inglese in Francia, costellato di più di duecento fabriques. Qui Rousseau arrivò nel 1778. Dopo neanche due mesi felici trascorsi nella proprietà di Girardin, vi morì il 2 luglio. Nel mezzo di un laghetto Girardin aveva fatto costruire una piccola isola, chiamata Isola dei Cigni, che con la morte del filosofo ginevrino si trasformò per sempre nell'Isola dei Pioppi. Da quel momento i resti di Jean-Jacques sull'isolotto divenne l'attrazione principale. “Fare visita” a Rousseau rappresentò dal 1778 fino alla metà dell'Ottocento una tappa essenziale nella formazione etico-estetica delle generazioni successive. Questo sito ispirò la nascita di una serie di “Isole Rousseau” come simboli parlanti delle aspirazioni del grande filosofo (Wörlitz in Germania nel 1765 per opera del duca Leopoldo III di Anhalt-Dessau; Arkadia di Nieborow in Polonia; Tiergarten di Berlino; l'antica tenuta di caccia degli Hohenzollern dove invece dei soliti pioppi fu scelto l'ontano). Nel parco di Donnafugata ritroviamo un'eco di questa moda ottocentesca che unisce in un grande filo conduttore europeo tutti questi giardini.

[8] Si vedano le finte grotte del parco mediceo del Pratolino, a Firenze (1577) o la grotta del parco Russeau a Ermenonville (metà XVIII secolo)

[9] Trascrizione della “Relazione sulla Esposizione Internazionale di Dublino”, biblioteca di Donnafugata (F-IX-8): “Dal lato est forma una specie di tribuna, che si apre con fontane, cascate d’acqua, colline artificali, e con un piccolo laberinto foggiato su quello di Hamton Court. Questo stupendo giardino, che accoppia la selvaggia bellezza dei parchi inglesi alla simmetria ed euritmia dei giardini di le Notre, è opera di Mr. Vervia, il mago inglese, il quale fa sorgere sotto la sua verga incantatrice dei paesaggi belli quanto quelli del suo Turner” da Relazione sulla Esposizione Internazionale di Dublino del 1865 fatta dal barone di Donnafugata Corrado Arezzo, Commissario Governativo d’Italia, copia presente nella biblioteca di Donnafugata

[10] https://codemooc.org/codytrip-2022-modica/; all’attività hanno preso parte 729 classi di 509 città, per un totale di 15.270 bambini e ragazzi di scuola primaria e secondaria.

[11] “La storia è nota. Minosse riceve in dono da Poseidone dei tori leggendari. In segno di gratitudine, ogni anno, il sovrano è chiamato a sacrificare al dio l’animale più bello. E tuttavia, giunta l’ora di adempiere al culto, il torello più in forma gli è troppo caro, e decide di optare per una seconda scelta. Adirato per il suo comportamento, Poseidone punisce Minosse facendo sì che sua moglie Pasifae si invaghisca di un toro sino al punto di esser presa da un desiderio irresistibile di copulare con lui. Quasi impazzita per la passione indotta, la regina convince Dedalo, l’inventore di corte, a progettare uno strumento per facilitare il connubio bestiale. Così Dedalo produce una vacca di bronzo in cui Pasifae si introduce per, subito dopo, unirsi con il toro. Da quest’incontro nasce il Minotauro: sanguinaria creatura metà uomo metà toro che Dedalo, comandato da Minosse, rinchiude in un luogo da cui non possa fuggire: il labirinto. Prigione in cui il Minotauro è nutrito da giovani ateniesi, le cui vite sono offerte come tributo da Egeo, il sovrano della città, a seguito di un sorteggio in cui, malauguratamente, viene estratta la figlia di Egeo. Per sottrarla al suo destino di morte, Teseo, l’eroe, si offre di uccidere il mostro. Ci riuscirà con l’aiuto di Arianna, la figlia naturale di Minosse e di Pasifae, che consegnerà all’eroe un filo dei suoi per consentirgli di ritrovare l’uscita dal labirinto. Compiuta la sua missione, con l’aiuto di Dedalo, Teseo fuggirà via con Arianna, ma la abbandonerà in un’isola, in cui la fanciulla si consolerà ricevendo le attenzioni del dio Dioniso, che la prenderà in moglie. Teseo, invece, tornerà ad Atene, ma dimenticherà di adempiere a una richiesta di Egeo: ammainare le vele nere con cui era salpato qualora fosse riuscito nel suo intento. Viste le navi bardate a lutto, Egeo si suiciderà, lasciando campo libero all’eroe. Dedalo, invece, per l’aiuto offerto ad Arianna e Teseo, verrà condannato a vivere insieme al figlio Icaro nel labirinto da lui stesso costruito. Entrambi, come è noto, fuggiranno in volo sulle ali di cera modellate da Dedalo: Icaro, però, avvicinandosi troppo al sole, perderà le sue ali e precipiterà al suolo.” (da un testo di Andrea Guastella).

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