Labirinto di Gibellina
Il Cretto di Gibellina. Il futuro e il labirinto
Nell’indagine sul Labirinto e le sue molteplici implicazioni metaforiche in ambito artistico e non solo è meritevole di particolare attenzione il Cretto, o Grande Cretto, di Alberto Burri che fu realizzato tra il 1985 e il 1989 e completato nel 2015 sulle macerie di Gibellina, centro dell’entroterra siciliano colpito dal terremoto del Belice il 15 gennaio 1968.
Nella fase postsismica, che ha visto la “ricostruzione” di Gibellina 20 km più a valle, fu determinante Ludovico Corrao, sindaco della città nonché promotore di una chiamata alle arti alla quale aderirono intellettuali come Leonardo Sciascia e Renato Guttuso e artisti, tra cui Pietro Consagra, Carla Accardi, Mimmo Paladino, Fausto Melotti e Nanda Vigo. Grazie a questa azione condivisa sono state realizzate diverse opere d’arte in un museo a cielo aperto che include oltre settanta interventi. Il Grande Cretto è tuttavia l’unica opera realizzata nei luoghi del terremoto consistente in una gettata di cemento che asseconda come un sudario l’andamento della topografia originaria e si adagia sui ruderi del paese, raccolti in blocchi alti un metro e mezzo circa, tenuti da una rete metallica. Oggi Gibellina si caratterizza dunque per la propria vocazione al doppio essendo sospesa tra il vecchio e il nuovo - la città distrutta e quella ricostruita - e si impone nell’immaginario collettivo come un vero e proprio topos in cui arti visive, poesia, architettura e teatro si intrecciano con il paesaggio urbano e naturale in un processo partecipativo e condiviso in cui spicca l’intervento di Burri, uno tra i principali esponenti dell’arte del XX secolo.
Dopo la laurea in medicina, la prigionia a Hereford in Texas e l’esordio di stampo figurativo, Burri è stato il fautore di una rivoluzione orientata a uno sperimentalismo radicale che ha trovato un’espressione fondamentale nei Cretti. Ideati originariamente tra il 1973 e il 1976 quali monocromi bianchi o neri, i Cretti si caratterizzavano per uno sviluppo bidimensionale ed erano realizzati con un impasto di caolino e colle viniliche. In seguito alle esperienze “ambientali” presso il Franklin D. Murphy Sculpture Garden di Los Angeles e il Museo di Capodimonte a Napoli, i Cretti di Burri si aprono a un’espansione nello spazio per innescare una dialettica inedita tra opera e contesto, come avviene con esiti straordinari in Sicilia. È infatti proprio il Cretto di Gibellina, considerato una delle opere di Land Art più grandi al mondo per via della sua percorribilità che consente al fruitore di attraversarlo e di vivere così un’esperienza totalizzante e per certi versi immersiva, ad assumere un ruolo fondamentale per il patrimonio siciliano e nelle vicende artistiche internazionali. Il Grande Cretto non è soltanto un’altissima espressione delle indagini degli artisti d’avanguardia dedicate al nesso tra opera, ambiente e paesaggio ma è anche un’opera particolarmente importante per le numerose implicazioni in termini di memoria di cui questo capolavoro è portatore. A partire da una catastrofe naturale Burri si è fatto interprete di uno dei temi centrali del suo tempo, la trasformazione della materia in opera d’arte attraverso l’appropriazione dei siti, della loro natura e della loro storia e ha affidato alla forma del cretto la capacità di convertire la città distrutta dal sisma in spazio della memoria, percorribile e abitabile come un labirinto.
Da questo atto di resistenza e coraggio scaturiscono prospettive multiple e chiavi di lettura diversificate, come molteplici sono i punti di vista di chi osserva quest’opera, che ancora oggi pongono il Grande Cretto al centro delle riflessioni di studiosi e artisti di discipline differenti. Con il Grande Cretto Burri propone una formula già esplorata ma a Gibellina realizza un unicum che, in termini concettuali, amplifica l’idea della vulnerabilità e, in termini ambientali, esplora in modo innovativo il rapporto diretto con lo spazio. L’intervento di Burri, infatti, ricalca l’antico percorso della città vecchia secondo un processo affine a quello di un restauro archeologico e opera sulle rovine di smaltimento conservando una traccia della topografia originaria attraverso il sudario contemporaneo nella forma del Labirinto.