𝐈𝐋 𝐒𝐈𝐓𝐎 𝐀𝐑𝐂𝐇𝐄𝐎𝐋𝐎𝐆𝐈𝐂𝐎 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐒𝐂ENA DI UN CRIMINE
Nel volume di Ludovico Gippetto “𝐍𝐨𝐥𝐢 𝐦𝐞 𝐭𝐚𝐧𝐠𝐞𝐫𝐞“ vi è un capitolo interamente dedicato ad una riflessione, attenta e profonda, che si sviluppa da un’analogia molto azzeccata.
Ovvero paragonare, e quindi trattare, il sito archeologico come fosse la scena di un crimine.
La filmografia americana ci ha abituati ad osservare cosa avviene in un luogo quando viene commesso un omicidio.
Esso viene isolato da un nastro giallo che nessuno può attraversare, fatta eccezione per gli addetti ai lavori.
In questo modo si protegge la scena da eventuali compromissioni e maneggiamenti che possono alterare, per sempre, il risultato delle ricerche degli investigatori nel ricostruire quello che è successo.
Sarebbe auspicabile se in Italia, detentrice di numerosi siti di interesse storico e archeologico, venissero applicate le stesse misure di protezione che vengono applicate nella scena di un crimine, per non permettere, a gente senza scrupoli, l’inquinamento dei nostri siti, delle nostre radici e di conseguenza della nostra identità. E per non permettere l’appropriamento indebito di tale patrimonio, attraverso il trafugamento di reperti per essere immessi nel mercato nero delle opere d’arte. Un fenomeno duro a morire.
𝐈𝐥 𝐬𝐢𝐭𝐨 𝐚𝐫𝐜𝐡𝐞𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐨 è 𝐮𝐧 𝐥𝐮𝐨𝐠𝐨 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐜𝐮𝐫𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡é 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐢ò 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐢𝐮𝐭𝐨 𝐢𝐧 𝐞𝐬𝐬𝐨 è 𝐮𝐧 𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐢𝐫𝐫𝐞𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞.
Da una eventuale compromissione non si può più tornare indietro.
Ecco perché solo quegli addetti ai lavori, che sono gli studiosi e gli archeologi, possono maneggiare, scavare, esplorare il sito; si tratta di un’operazione che si effettua attraverso un preciso e attento procedimento, appreso da anni di studio e di esperienza sul campo.
Secondo Gippetto ponendo in essere tale analogia sarebbe possibile prevenire il fenomeno del vandalismo e soprattutto del trafugamento di opere d’arte nei nostri preziosi siti. Un’attività tra l’altro illecita e gravissima, perché attraverso di essa si compie un delitto verso una moltitudine di persone.
Necessaria su questo fronte è l’adozione di 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐨𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐝𝐢 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 dei nostri beni culturali, volte ad esaltarne le molteplici funzioni: culturale, turistica, storica, paesaggistico- ambientale.
Una politica gestionale che non può rifarsi all’ ordinario perché spesso i nostri siti archeologici sono nel mirino non solo di gente senza scrupoli, ma addirittura di organizzazioni criminali ben più complesse e articolate, che fanno razzie nei siti archeologici per arrivare addirittura al riciclaggio di denaro.
Sono le nuove archeomafie di cui presto vi parlerò.
𝙎𝙖𝙡𝙫𝙞𝙣𝙖 𝘾𝙞𝙢𝙞𝙣𝙤
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